Un’esperienza recente ci ha portato a riflettere su una condizione non rara che spesso viene gestita con modalità non adeguate. Un collega ci ha chiesto di aiutarlo a rivalutare una Paziente che stava seguendo da qualche settimana con la quale non riusciva a raggiungere gli obiettivi che aveva fissato con lei.
Si tratta di una ragazza di 30 anni che 5 anni fa è caduta in palestra durante un allenamento di arrampicata riportando immediatamente un dolore nella regione lombare. Questo dolore sembra risolversi velocemente, dopo circa 10 giorni la schiena sta meglio. Ma altrettanto velocemente iniziano a comparire alcuni sintomi alle gambe, descritti come una sensazione di acqua che scorre nelle gambe che determina un senso di intorpidimento; successivamente compare anche un dolore a metà schiena, una tensione dolorosa che nel corso di un paio di settimane inizia a coinvolgere il torace, che avverte come se venisse compresso. Infine anche il collo e le spalle vengono coinvolti dal dolore. E sono proprio il collo e le spalle che da 5 anni impattano in maniera negativa nella sua vita, sono questi dolori che le hanno fatto gradualmente sospendere tutte le attività sportive e ricreative che svolgeva prima di quella caduta, sono questi dolori che le impongono di non fare. Perché oggi qualsiasi cosa faccia ha un’unica conseguenza: stare male.
A poco servono i farmaci che le hanno prescritto. Tutti i trattamenti che le hanno proposto in tutto questo tempo sono stati inefficaci, al massimo le hanno dato sollievo per qualche giorno: dall’agopuntura ai massaggi, dalle manipolazioni alle terapie fisiche. La maggior parte delle volte sono stati inutili, in alcuni casi hanno peggiorato il dolore. E il dolore ha continuato a limitare sempre di più la sua vita. Fa fatica a dormire la notte, a volte ha la necessità di riposare durante il giorno ma ogni volta che si sdraia ha paura di risvegliarsi con più dolore. Prova a fare delle camminate ma può succedere che queste determinino un aumento dei suoi sintomi.
Ha dovuto trovare un lavoro che si conciliasse con questa sua condizione. Ha dovuto adattare la sua vita al dolore. Insomma è sospesa, vive tentando di trovare qualche piccolo sollievo durante le sue lunghe giornate di dolore.
Da quanto riferisce il suo star male non dipende da qualche movimento o attività specifica: qualsiasi cosa può scatenare malessere. A volte. Ma altre volte le stesse attività che il giorno prima avevano fatto esplodere la reazione dolorosa non hanno alcun effetto, sono indifferenti.
Che cosa sta succedendo? Come mai questo dolore non tende ad attenuarsi? Perché le terapie che ha percorso non hanno dato alcun esito?
Mettendo insieme tutti i dati che abbiamo raccolto con lei durante il nostro incontro capiamo che il suo problema è un po’ più complesso di un mal di collo che tarda a guarire. In questo caso il dolore mantenuto per tanto tempo ha determinato l’aumento della sensibilità e della responsività del Sistema Nervoso Centrale. Questo processo può essere favorito da diversi fattori, tra cui fattori psicologici, emotivi e metabolici. E può essere facilitato ulteriormente quando si ricevono informazioni o diagnosi discordanti o inconcludenti; se tutte le terapie a cui ci si sottopone non permettono di migliorare il dolore, crescerà la convinzione di avere qualcosa di grave e questo alimenterà fattori psicologici ed emotivi negativi che a loro volta favoriranno la sensibilizzazione.
Inoltre a causa del dolore può esserci una diminuzione delle attività abituali che, a lungo andare, determina minor tolleranza agli sforzi ed ai carichi, facilitando così il dolore.
In un caso come questo il tessuto (disco, cartilagine, legamento etc) ha un ruolo secondario, è il Sistema Nervoso Centrale ad avere un ruolo da protagonista. Oggi sappiamo che il dolore è sempre prodotto dal cervello, funziona come un allarme che scatta quando il nostro sistema avverte una minaccia. Può essere una minaccia fisica (come un osso che si rompe o che rischia di rompersi oppure un legamento messo troppo in tensione) o una minaccia emotiva.
Per capire come funziona il dolore cronico possiamo immaginare che il nostro cervello funzioni come la centralina dell’allarme di casa: i sensori normalmente non si attivano se una mosca vola dentro l’appartamento, è troppo piccola per far scattare l’allarme, anche se viene rilevata dai sensori. Ma cosa accadrebbe se la centralina dovesse andare in tilt? A questo punto l’allarme potrebbe suonare ogni volta che la mosca si mette a volare. E questo è ciò che accade nel caso di dolore cronico: il sistema è più sensibile, produce dolore ogni volta che turbiamo il sistema. Anche se il turbamento è leggero. Anche se il turbamento consiste in un’attività normale della nostra vita, come può essere camminare, correre o andare a fare la spesa.
Ma cosa possiamo fare quindi per stare meglio? Chi può aiutarci a risolvere questo tipo di dolore?
Per quanto ne sappiamo oggi uno stile di vita sano e attivo favorisce una buona gestione del dolore cronico. Le terapie farmacologiche possono essere utili durante la prima fase della gestione del problema ma sarebbe opportuno diminuirle gradualmente fino a sospenderle. Il problema deve poi essere affrontato da diverse figure tra cui lo psicologo (pensieri ed emozioni), il nutrizionista ed eventualmente l’endocrinologo (metabolico), il fisioterapista (stile di vita attivo). L’obiettivo del percorso terapeutico è rendere il sistema più forte e meno attaccabile possibile. Ed è necessario arricchire la propria vita di esperienze piacevoli. L’unico “antidoto” per un sistema che produce dolore è riabituarlo ad esperienze positive, buone. È riallenarlo al benessere. L’allenamento è la chiave. Perché il dolore funziona come un allenamento: più siamo abituati a sentirlo, più facilmente lo sentiremo. Ed il benessere allo stesso modo: se ci alleniamo a star bene non potremo più farne a meno.
